Connessi con i cinque continenti

Produzione tutta italiana di connessioni elettriche per elettrodomestici – Una fabbrica altamente automatizzata che esporta i propri prodotti in tutto il mondo.DSC_3448 (Large)

Inarca, azienda di Vigodarzere (PD) che da quasi mezzo secolo si occupa di prodotti per la connessione elettrica, è l’archetipo aziendale di quello che viene giustamente definito “l’operoso nord est italiano”. Azienda partita piccola piccola con la produzione di pinze e macchine per l’aggraffatura dei capicorda, che si è ingrandita nel tempo fino ad arrivare, grazie agli attuali due stabilimenti, entrambi a Vigodarzere, a 30 milioni di fatturato, 111 dipendenti e una produzione che nel tempo si è specializzata in componenti per connessioni elettriche senza saldatura, affiancando al tradizionale stampaggio di prodotti metallici anche lo stampaggio di materie plastiche. Azienda familiare, fondata da Gianni Piovesan, ancora pienamente operativo con il ruolo di Presidente, affiancato dalla moglie Franca vettore e dalle figlie Michela e Nicoletta. Azienda che ha fatto le scelte giuste al momento giusto. Sia grazie alla competenza del fondatore, sia al fatto che ha saputo gestire bene il passaggio da piccola azienda familiare a una struttura più articolata sorretta anche dalla competenza di manager esterni. Tra i quali Alessandro Rocchi. Che, se vogliamo, fa parte anch’esso della famiglia perché molti anni fa ha sposato una Piovesan, ma soprattutto è un manager che nel suo ruolo di direttore commerciale ha una visione a 360° del mercato in cui opera Inarca e ha contribuito a traghettare la società in un contesto internazionale e ad accrescere il suo imprintig di azienda in grado di sviluppare prodotti personalizzati per i suoi clienti, che spaziano dai produttori di grandi e piccoli elettrodomestici, ai produttori di motori elettrici e di resistenze per elettrodomestici, fino a raggiungere i costruttori di cablaggi. E proprio con lui abbiamo parlato di mercato e prodotti, passando per la storia della società padovana e delle scelte che nel tempo ha fatto per precedere o rincorrere, a seconda, il mercato.

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La storia

«Dopo una prima fase in cui l’azienda si è occupata soltanto della produzione di pinze e macchine per l’aggraffatura – racconta Rocchi – Inarca ha iniziato a produrre minuteria per scarpe, radio e piccoli elettrodomestici. Nel padovano c’è una consolidata tradizione di tranceria, che si sviluppa sostanzialmente in due filoni: quello per la minuteria per abbigliamento, come ad esempio i rivetti dei jeans, e quello più “tecnico” come quello dei connettori di cui ci occupiamo noi ora. Siamo partiti dalla minuteria, ma ben presto ci siamo dedicati ai connettori. Anche per assecondare le esigenze di clienti importanti che allora come oggi (anche se magari con altri nomi) sono nostri clienti: Zanussi, Zoppas, Ignis e Sole, per fare qualche nome». Poi, negli anni 80, la scelta di specializzarsi in componenti per connessioni elettriche senza saldatura. «Il mercato della connessione – continua Rocchi – si può suddividere, grossomodo, in quattro grandi settori: automotive, telecomunicazioni , elettronica e quello che gli americani definiscono come “consumer”, nel quale rientrano gli elettrodomestici. Abbiamo capito subito che cercare di presidiare contemporaneamente tutti questi filoni sarebbe stato controproducente. Voleva dire disperdere le nostre energie in mille rivoli. Abbiamo quindi deciso di puntare sugli elettrodomestici e sulla relativa componentistica (motori, valvole, timer e così via) e in particolare sulle connessioni senza saldatura. Erano ancora anni di boom economico: la maggioranza degli elettrodomestici veniva fatta in Italia e questo ha permesso la nascita di tante aziende come la nostra. Non ci pentiamo di questa scelta nonostante oggi, almeno in Europa Occidentale, il mercato dell’elettrodomestico sia maturo e in effetti soltanto di sostituzione. Ci sono comunque delle nicchie da scoprire, come quella delle lavastoviglie che hanno una penetrazione di appena il 35%. E, in ogni caso, prodotti come frigoriferi e lavatrici sono ormai ritenuti irrinunciabili da ogni famiglia e garantiscono comunque una base stabile di mercato». Negli anni ottanta, oltre che dedicarsi principalmente alle connessioni elettriche senza saldatura, Inarca ha investito nello stampaggio interno di materie plastiche. «La decisione di produrre la parte in plastica che fa da alloggiamento ai connettori realizzati con tranciati da leghe di rame – sottolinea Rocchi – è quella che ci ha permesso di fare il salto di qualità, di diventare un’azienda di valenza internazionale. Altrimenti saremmo rimasti una società “zoppa” visto che la tendenza per i nostri clienti è quella di avere il minor numero di fornitori possibile, selezionati e da considerare come vere e proprie risorse.

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Mercato interno ed esterno

Oggi ben l’50% della produzione di Inarca va all’estero. «Se mi avesse chiesto la percentuale di esportazione appena sette anni fa – sorride Rocchi – le avrei risposto che appena il 15% era destinato alle esportazioni. La quota di export è decisamente aumentata, ma non per nostra scelta diretta: abbiamo seguito i nostri clienti che hanno delocalizzato. E, come italiano, lo dico con vero dispiacere». L’aver saputo seguire i clienti, con le giuste flessibilità e capacità, nelle produzioni sparse per il mondo ha consentito ha Inarca di reagire bene alla crisi globale che ha colpito le imprese a partire da 2009. «Non siamo un’isola felice: abbiamo risentito della crisi, anche se meno di altri. Nel 2008 sembrava che qualcuno da qualche parte del mondo avesse girato un interruttore: ordini spariti completamente da un girono all’altro. Forse il mercato era drogato e dubito che torneremo ai numeri precedenti alla crisi. Comunque abbiamo saputo reagire con energia».

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Se dalla sede di Padova partono in continuazioni container per tutto il mondo, Cina compresa, affrontiamo con il manager di Inarca il tema della delocalizzazione. «Il nostro prodotto è a bassissimo contenuto di manodopera perché le nostre linee di produzione sono automatiche. La gran parte dei costi è data dalle materie prime che hanno gli stessi costi in tutto il mondo e quindi per noi delocalizzare sarebbe soltanto duplicare i costi» dice Rocchi. «Non dobbiamo dimenticare che se la logistica è gestita bene il costo di trasporto incide pochissimo su prodotti piccoli come i nostri: spedire in Asia un container da venti piedi che contiene milioni di connettori ha un impatto risibile sul costo del prodotto». In effetti le navi provengono dalla Cina piene di merci e praticano buoni prezzi per il ritorno piuttosto che tornare a carico vuoto. Bisogna solo organizzare bene i tempi, perché tra nave e dogana ci vogliono dai 40 ai 50 gironi per arrivare in Cina dall’Italia.

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La strategia

Inarca, come si può dedurre dalle parole di Rocchi, dalla generale soddisfazione dei clienti e dai buoni numeri, è un’azienda che si sa muovere bene pur operando in un mercato tempestato di concorrenza che gioca duro anche sui prezzi. Qual è quindi il valore aggiunto dell’azienda padovana, data la qualità e il prezzo dei prerequisiti che il mercato ormai pretende? «Alla mia forza commerciale – spiega Rocchi – cerco sempre di trasmettere un messaggio fondamentale: se ci riducessimo a dover promuovere il nostro prodotto soltanto perché costa meno, facendo leva esclusivamente sul prezzo, perderemmo sicuramente mercato perché da qualche parte del mondo c’è sempre qualcuno che può vendere a “zero virgola niente” in meno. Anche se sembra banale c’è un concetto fondamentale, che ho ben in mente perché sono nato come venditore e la vendita è nel mio Dna: capire i bisogni dei clienti e riuscire a soddisfarli. Non c’è concorrenza di prezzi che tenga quanto un cliente ti riconosce come valore aggiunto la capacità di risolvere un problema, soprattutto oggi che c’è un progressivo indebolimento di competenza negli uffici tecnici. Faccio un esempio: in una lavatrice c’è il timer, posto in alto, e il motore elettrico posto in basso. C’è un cablaggio che li collega, lungo grosso modo un metro e mezzo. Un nostro cliente, grande produttore di elettrodomestici, aveva il problema che le gocce di condensa che a volte colavano dal cesto potevano andare sul connettore di alimentazione del motore sottostante. In catena di montaggio, inoltre, se l’operaio che ingaggiava il connettore portafemmine stringeva troppo le fascette in prossimità del motore, correva il rischio di tagliare la guaina ed esporre il filo. Su richiesta del cliente abbiamo studiato un connettore di nuovo tipo per quella specifica applicazione, dotato di una sorta di “tettoia” per ripararlo dalle possibili gocce di condensa e con uno speciale aggancio che consente di non usare fascette di prossimità. Il risultato? Nessun problema con l’acqua e un risparmio di cinque secondi in linea di montaggio. Che moltiplicato per 4,5 milioni di lavatrici…». L’uovo di colombo? Semplicemente, come dice Rocchi, la capacità di un’azienda di saper risolvere un problema grazie a una lunga esperienza sul campo. Non è poco.

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Moreno Soppelsa è un giornalista e fotografo con competenze nella diffusione di contenuti nei nuovi e vecchi canali, dalla carta stampata ai social media, dai siti Web alle App.

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